Tu vuò fà l'americano

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mito;MOKKERE`
view post Posted on 30/1/2011, 16:58




Titolo: Tu vuò fà l'americano
Capitolo: Valigia
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: OC!Centro Italia/Giulietta Adriana Vargas, Nord Italia/Feliciano Veneziano Vargas, Sud Italia/Lovino Romano Vargas, America/Alfred F. Jones
Genere: Generale, Storico, Slice of life
Rating: Verde
Avvertimenti: OOC, Otherverse
Note:

  • In qusta fanfiction i personaggi vengono intesi come personaggi reali e non nazioni.

  • L'OC!Centro Italia è interamente sotto il mio copyright, se per caso vi ispirate a lei per qualche fanfiction - o altro - dovete mettere obbligatoriamente i credits.

  • Fanfiction che si ambienta alla fine dell'Ottocento ed agli inizi del Novecento, riguardante per lo più gli immigrati italiani in America.

Spazio Autore: Yeeee, aught pandoshi, questa è la mia ennesima fanfiction - si, ancora Hetalia! Però... diciamo che è un po' diversa dalle altre, anche se in fondo quasi tutte le mie fanfiction sono strane a modo loro. I personaggi, gli avvertimenti, il raiting ed il genere potranno essere modificati nel corso della storia, quindi controllate sempre bene gli aggiornamenti. Altro da dire? Mmmh... apparte che il film su Italia 1 ora mi ispira abbastanza...
Ah, ecco! I personaggi hanno un loro passato dietro le spalle, che verrà scoperto via via che si procede con la storia. Alcune parti, però, verranno messe sotto le note. Buon proseguimento di serata (?) e spero vi piaccia.





CITAZIONE
“Migrante è tuo padre e tua madre e altri ed altre prima di loro. Siamo tutti migranti, ma solo alcuni vengono costretti ad essere clandestini: quando verrà il tempo in cui uomini e donne saranno liberi cittadini e la nostra patria il mondo intero?” (Primo Levi)

Valigia


Era il 1888, me lo ricordo bene, l'anno in cui decisi di partire da sola per gli Stati Uniti, la patria dove sicuramente la mia idea di 'telefono' sarebbe diventata un vero successo. Avevo proposto il mio progetto ad un congresso, mentre mi trovavo a Firenze, ma nessuno mi aveva preso seriamente, forse perchè sono una donna. Solamente l'uomo con cui avevo lavorato insieme per realizzare questo progetto, Antonio Meucci, e colui che si era proposto per aiutarci, Innocenzo Manzetti, avevano capito in pieno la mia grandiosa idea. Però questo aspetto non importava, quei grandi aristocratici si sarebbero dovuti ben presto inchinare di fronte a me - benchè ero solo una ragazzina a quei tempi, non avendo ancora raggiunto la maggiore età - e a quel punto avrei riportato la ricchezza nella mia adorata casa, anzi nella mia adorata Italia, riuscendo finalmente a sfondare in qualcosa che avrei reso famoso a livello internazionale.
« E' una gran cazzata. » commentò acido e svogliato mio fratello maggiore, mentre io, piegando la testa ed il sorriso verso il basso, continuavo a preparare silenziosamente quel cartone contenente stoffa, ago, filo, fogli stropicciati e qualche soldo, che nemmeno poteva definirsi una vera valigia. « Questo viaggio, intendo. » continuò lui, specificando il soggetto. Aveva appena solcato quella porta di legno, tornando dalle terre, che già iniziava a brontolare, contraddicendomi per ogni minima cosa. « Insomma, perchè te ne vuoi andare dalla nostra bella Patria? Non capisco. Tanto la tua idea non venderà manco lì. » proseguì, tentando di fermarmi, oramai lo conoscevo bene, era mio fratello, voleva distruggermi solamente per puro egoismo, costringendomi a non partire ed a restare bloccata lì, nel nostro Paese.
« Finiscila! » reagii aggressiva, voltando il capo verso di lui, guardandolo in modo severo; le narici si dilatarono un poco, il respiro si fece più affaticato, la fronte si corrugò assieme alle sopracciglia, dandomi quella espressione cattiva di difesa che assumevo sempre quando c'era qualcosa che non mi andava giù. « Tu rimani qui in Italia, chi ti ha detto niente. » mi calmai un poco, chiudendo la scatola di cartone e sedendomi stanca sulla sedia vicino al tavolo, sospirando per tranquillizzarmi.
Mi guardò indifferente, come se sapesse tutto lui. Posò la zappa vicino all'uscio e poggiò sul tavolo il cesto pieno di chicchi d'uva che aveva raccolto, alzandolo con le sue forti braccia abbronzate. « Non sai manco l'inglese. » pronunciò duramente, per abbattermi, scrollandosi la ribelle chioma castano scuro da tutto il sudore.
Non ci vidi più, mi passai una mano fra i capelli, reggendomi la testa, posando il gomito sul tavolo, mentre la mia bocca faceva vedere i miei denti in un ringhio. « La vuoi piantare! » gridai così forte e ferocemente che sentii fuori uno stormo di uccelli alzarsi in volo e sparpagliarsi impauriti. « Perchè dobbiamo litigare anche oggi? Al posto di tutti questi insulti, avrei gradito molto volentieri un ultimo abbraccio. » cercai di moderare la voce, di controllarmi, ma non ci riuscivo, dalle mie orecchie potevo ben capire che stavo ancora gridando contro di lui, l'ultima persona con cui avrei voluto attaccarmi quel giorno.
Improvvisamente, per fortuna, entrò Veneziano che interruppe quel litigio, per annunciarmi che l'ora era arrivata. « Sorellina, sorellina. » mi chiamò, aprendo quella porta, col suo solito sorriso allegro stampato in volto, che mi rassicurava in ogni momento, facendo filtrare i raggi del sole dentro la stanza, che risplendevano sulla sua testolina castana. « Allora, sei pronta? Il viaggio da qui al porto non è mica così corto. » Mossi, tremando per la sfuriata di prima, la testa in un si, corrispondendo al suo radioso sorriso.
« Ma come pensi che una donna tutta sola possa sopravvivere in quella giungla? Poi... donna, mpf. Sei solamente una ragazzina. » come se nulla fosse, continuava ancora per il suo dannato orgoglio, non voleva farsi entrare in quella sua zucca che io me ne sarei andata, qualunque cosa lui avesse detto. Si buttò su una sedia, chiudendo gli occhi.
Strinsi i pugni, inghiottendo, mentre la mia vista si appannava lentamente e mio fratello Feliciano, quello che mi avrebbe accompagnato in città, mi guardava preoccupato; lentamente le mie guance divennero completamente bagnate, mordendomi le labbra sempre più, per non fiatare, ma non potevo starmene lì, in silenzio. Mi voltai, di scatto. « Perchè devi farmi piangere anche quest'ultimo giorno? » gridai, ancora, girandomi ed innervosendomi ancora di più: non mi guardava, come se fossi ripugnante. Mi sentivo tremendamente sporca. Volevo fermare i miei singhiozzi, ma non ci riuscivo. « Romano, ti odio! » era una tremenda bugia, quella, ma era l'unica cosa che mi venne da dire, prima che scappai fuori di casa, afferrando al volo la valigia e sbattendo la porta.
« Giulietta! » mi urlò dietro la voce dell'uomo a cui mi ero riferita prima, che mi chiamò. « Dannazione! » imprecò, calciando qualcosa che non potevo vedere, visto che oramai ero uscita.
Mi accasciai al muretto vicino essa, sotto la finestra, in modo che potevo sentire ancora i loro discorsi. Ritirai le gambe al petto ed abbracciandole ci nascosi dentro la testa, per non far sentire a tutti i miei lamenti ed i miei singhiozzi.
Un sospiro. Calmo, leggero, regolato. « Possibile che per una volta non puoi accontentarla? » Niente. Nessuna risposta. Altro sospiro, stesso stile. « Sorridi per lei, almeno per oggi, in modo che ti ricorderà così quando se ne andrà. Veh, Accompagnala anche tu. » le parole non sembravano un rimprovero, nè erano tristi, bensì sembravano quasi un incoraggiamento, gioioso e frizzante. « Se fai così la perderai. » concluse, con una nota leggermente malinconica.
« E' questo il prolema. » parlò l'altra voce, più roca e frustrata. « Lei se ne andrà. » Ci furono secondi e secondi di silenzio prima di un'altra frase. Si sentì il rumore di un fiammifero ed uno strano e lungo respiro, simile ad un soffio. L'odore di fumo trapassò la finestra, arrivando persino alle mie narici. Mi sarebbe andata volentieri una sigaretta e gliel'alvrei chiesta se l'orgoglio non me l'avesse impedito. « Ho passato tutta la mia vita con lei. L'ho sopportata per tutto questo tempo. Ma non potrò mai mostrarmi felice mentre la guardo andar via, perdendola di nuovo. » Un altro tiro. « Io l'ho già persa, mi capisci? Se la allontanerò da me, sarà più facile per lei dimenticarmi. » Altri secondi, altro silenzio. Quelle attese mi snervavano e mi facevano iniziare a tremare. « Quando fummo separati, da piccoli, lei non faceva altro che piangere, ma quando Antonio la vendette a Françis e Roderich1... quello che stette male fui proprio io. » spiegò, tuffandosi nei tristi ricordi della nostra infanzia. Era vero, mi affaticavo più a piangere che a non fare i lavori che avrei dovuto svolgere insieme a mio fratello in quella enorme villa dove eravamo stati portati da piccoli. Lui non era cambiato affatto da allora, per convincermi di una cosa usava sempre le sue parole scontrose che mi mettevano in soggezione, però alla fine funzionavano ogni volta. Mi piaceva quando sorrideva, perchè anche se non lo faceva mai, gli ripetevo sempre che il suo sorriso era il più bello del mondo, ma quelle poche volte che me ne rivolgeva uno il mio petto esplodeva gridando a me stessa che ero la persona più felice del mondo. Volevo vedere ancora quel suo sorriso, non mi bastava portarlo assieme a me nel mio lungo viaggio solamente come un ricordo, un illusione frutto della mia mente. Desideravo di più, molto di più, qualcosa che non potevo di certo avere. Ottenere lui, portarlo via assieme a me, perchè era così difficile? Impossibile riuscirci. Lui non sarebbe mai venuto con me, poi... in America, figuriamoci, già sbraitava se provavo a mettere le salsicce sulla pizza, chissà cos'avrebbe fatto se glielo avessi chiesto.
I miei occhi iniziarono di nuovo a straripare, affondati nel povero straccio rosso chiamato 'gonna' che coprivano le mie gambe, i capelli sciolti vi cadevano sopra, finchè non furono toccati da delle dita delicate, che li ornarono di una meravigliosa e piccola margherita, che dimorava su una delle ciocche a destra della testa. Alzai il capo, un po' spaventata, con gli occhi gonfi e pieni di lacrime, rallegrandomi nel constatare che era solo Veneziano. Mi sorrise dolcemente per rassicurarmi, prostrandomi in avanti una mano, che lentamente afferrò con tocco lieve la mia ed osservandolo ancora, poggiai una mano a terra per aiutarmi - anche grazie a lui - ad alzarmi. « E' solo uno stupido. » affermai debolmente, cercando di parlare scorrevolmente, cosa che naturalmente non riuscii a fare.
Mi sorrise ancora, guardandomi comprensivo ed alzandomi completamente, afferrando anche l'altra mia mano. « Si, hai ragione. E' uno stupido. » Mi aggiustò una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio sinistro e con il dorso della stessa mano cercò di asciugarmi le guancie. Mi spolverai la gonna, aggiustandomi anche la camicietta bianca - quella scollata con le mezze maniche arricciate e le spalline bombate - ma, mentre ero partita come una fenice dal ridarmi una toccatina per presentarmi in buone condizioni in città, presto mi affievolii di nuovo, abbracciando inaspettatamente mio fratello più forte che potevo. Sentii una sua risatina e facendo capo con gli occhi dubbiosi vidi gli occhi ridenti di mio fratello che non poterono fare a meno di tranquillizzarmi. « Sei buffa. » Feci finta di imbronciarmi al suono delle sue parole di pura spontaneità infantile, la caratteristica che più amavo di lui, quella che non era mai capace di rendermi triste. Trasportandomi con entrambe le mani raggiunsimo il calesse coi cavalli che aveva dapprima preparato. Montai, mentre col suo aiuto mi sollevava un poco, sul carro e, dopo che anche lui si sedette vicino a me, mi coprì le spalle con uno scialle di lana marrone. « Questo ti servirà, sorellina, lì in inverno fa più freddo. » mi avvertì, prendendo le stringhe e con un colpo secco fece partire i marroni cavalli.
Trotterellavano, il ritmo dei loro passi contava i secondi che impiegavamo per raggiungere il centro. La strada era ritta e rigida come i loro paraocchi, soltanto rare volte vi erano delle curve tondeggianti, benchè fosse una stradina di campagna; più che altro si potevano incrociare sul cammino varie buche, che movimentavano spesso il tragitto. Continuavo a guardare quegli animali dinanzi a me che trainavano il mezzo, loro almeno erano in coppia, io invece sembravo sola con la mia valigia, pensando a tutt'alto che a stare con Feliciano.
« Non te la prendere. » Mi leggeva nella mente o cosa? Teneva lo sguardo di fronte a se, la sua guida non era spericolata come al solito, se non fosse stata per la sua postura completamente diseducativa mi sarei allarmata per una possibile sua influenza. Lo guardai pietrificata, bocca aperta e sguardo spalancato. Le sue labbra, perennemente all'insù, capirono anche questo mio gesto. « Come stai? » domandò semplicemente, mettendomi persino in difficoltà.
Svogliata nel rispondere, ritornai a guardare i cavalli, sedendomi scomposta e poggiandomi sullo schienale. « Poteva anche salutarmi. » risposi, tentando di non scoppiare di nuovo. « Sapevo che non avrebbe mai approvato, ma anche un semplice 'ciao' mi sarebbe andato bene... in fondo sarebbe stato pur sempre suo, mi bastava. » Di nuovo quell'orribile sensazione alla gola, quegli occhi che bruciavano come fuoco sulla brace. Fece una smorfia. « Non ti ho nemmeno ringraziato per lo scialle, scusami. » Mi strinsi nelle spalle, socchiudendo gli occhi, abbandonandomi a quel piacevole calore emanato dalla lana. Pecora. La riconoscevo bene una morbidezza simile.
« Capito. » Un colpo di frustino. « Però non ce la fai ad arrabbiarti con lui. Giusto? E' pur sempre tuo fratello e tu... beh... » Attimi di pausa, momenti in cui non vidi e sentii più nulla. Il dolce suono delle sue parole mi fece addormentare, non so come, ma forse il calesse non era uno dei posti più scomodi dove avessi mai dormito.
Mi risvegliai solamente quando scrutando coi miei occhi assonnati il paesaggio, potei notare casette di mattoni tutt'intorno e, di fronte a me, il ponte che permetteva di attraversare il Tevere per passare da una parte di Roma all'altra. Quella vista mi rallegrò, come se fosse una delle prime volte che vedevo il fiume; mi voltai verso Feliciano per poter gioire assieme a lui, ma... il calasse era vuoto. Stringendo lo scialle a me, voltai frettolosamente la testa verso ogni direzione. « Veneziano! Veneziano! » chiamai impaurita il suo nome, fin quando il rumore di un campanello e di uno sbattersi di porte non attirò la mia attenzione. Il castano mi guardò tranquillamente, avvicinandosi con in mano un libro, un piccolo bloccheto di fogli bianchi, ed un completo di cancelleria che includeva matita, gomma e temperino. Guardai gli oggetti in maniera molto confusa, portandomi all'indietro il ciuffo ribelle che mi cadeva in continuazione sul viso. Li tese verso di me e, prendendoli, potei constatare che il libro che aveva preso era niente di meno che 'I promessi sposi'.Rimasi stupefatta, mente lui apriva la mia valigia e, togliendomi il materiale dalle mani, li sistemò con cura dentro essa.
« C-Cosa fai? » non mi fermai dal domandarglielo, troppo sorpresa.
« Come, non si vede? » fischiettò, come se i regali che mi stava facendo fossero la cosa più normale che esisteva. « Miglioro la tua valigia, sorellina, non sei mai troppo pulita. » mi schenì.
« Hai speso tutti i tuoi soldi. Non mi serviva questa roba. » volevo convincerlo a tornare indietro e farsi restituire i soldi che aveva speso. Io me la sarei cavata, ma senza quei soldi lui e Romano sarebbero andati in rovina.
Salì sul calesse, facendolo ripartire per attraversare il ponte. « Oh, ma così mi offendo, in fondo son solo dei piccoli regalini prima che tu parta. » cercò di giustificarsi, con tono acuto, apposta per farmi arrabbiare. Sospirai, rassegnata, mentre lui gioiva per la sua 'vittoria'. Finito il tragitto del ponte, svoltammo verso ovest, in direzione del mare. « E poi lo sai che l'autore di quel libro è anche un mio amico, quindi figurati. » fece spallucce.
« Si, peccato che sei andato in negozio a comprarlo. » lo guardai storto, mentre lui fissava davanti a se, facendo lo gnorri.
Proseguimmo avanti, su un rettilineo, proseguendo tutto il tragitto del fiume, mentre via via che proseguivamo il vociare della gente aumentava, fino a che ci ritrovammo a dover attraversare il mercato. « Insomma, mi hai cucito i vestiti, comprato un libro ed oggetti di cancelleria... che diavolo vorrai regalarmi ancora? »
La sua bocca divenne maliziosa ed i suoi occhi penetravano nei miei. « Questo. » affermò, sfiorandomi il viso e passando con le labbra vicino alla bocca, sino a stamparmi un tenero ed amorevole bacio sulla guancia. Il cuore quasi mi scoppiava, voleva esplodere dal mio petto, la gola era annodata e mio fratello lanciò una mano di lato, indicando qualcosa col palmo e seguendo lo sguardo con gli occhi. Ripresi fiato, ma subito dopo i miei occhi proseguirono lo stesso percorso che aveva fatto il braccio di Feliciano. « Eccoci arrivati al porto! » esclamò, annunciandomi che finalmente eravamo arrivati.
Stupefatta dalla vista dell'enorme nave che ancorava lì, quella stessa imbarcazione su cui sarei salita, scesi dal carro, dirigendomi automaticamente verso di essa, mentre Veneziano mi portava il bagaglio, di cui mi ero completamente dimenticata. « Così... è q-questa? » deglutii, non avendo mai visto niente del genere. Sarà stata alta più di sette case costruite l'una sopra l'altra, per non parlare della larghezza poi!
« Pare proprio di si. » mi rispose, posando la valigia a terra, vicino a me.
Mi voltai verso di lui, abbracciandolo con tutte le mie forze, mettendomi quasi a piangere e lui ricambiò quella presa con altrettanta energia. « Allora... arrivederci. » lo salutai, con la voce interrotta. Ecco, sentivo di nuovo quella strana sensazione.
« Già, arrivederci. » la luce che emanava si spense, gli occhi divennero tristi e l'unica movimento che mi rassicurava che era ancora vivo era il suo avanti ed indietro con la testa, seguito poi dall'agitamento di una mano per salutarmi. Feci lo stesso e, tristemente, presi la valigia, mi voltai ed iniziai a percorrere la scaletta che mi avrebbe fatta salire sull'imbarcazione. « Ah, Adriana! » la voce di mio fratello maggiore che mi chiamava, mi dava quasi una speranza. « La valigia... te l'ha preparata Lovino. » mi informò, con un sorriso beffardo.
Le labbra si piegarono verso l'alto, piene di gratitudine per quel ragazzo che non voleva dirmi addio, ma un arrivederci. « Fratellone, grazie. » Si, piangevo di nuovo, ma ora ne andavo fiera, perchè almeno quelle lacrime provenivano dalla gioia di avere una famiglia che mi avrebbe aspettato. Girandomi di nuovo proseguii la rampa: lassù vi era un altro mondo che avrei dovuto scoprire da sola.




1. In tema Hetaliano-storico il fatto si riferisce alla pace di Rastatt quando l'Italia centrale passò sotto il dominio dell'Austria. Nella fanfitcion fa riferimento al fatto che i tre fratelli, alla morte del nonno, non avendo genitori, vennero affidati a due famiglie aristocratiche diverse. Una delle due, con tutore uno dei due fratelli acquisiti, perdendo ad una scommessa contro l'altro fratello acquisito ed ad all'altro tutore aristocrativo, dovette cedere la sorella minore dei tre all'altra famiglia. Fa riferimento ad una mia precedene fanfticion intitolata 'Djobi Djoba'.
 
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